Due su tre

Ripenso ai miei due anni da dottorando in matematica, qui a Pavia. La ricerca è effettivamente un mestiere, e come tale si impara. Non è stato affatto banale. Il primo anno si procedeva spinti dall’entusiasmo, un po’ alla garibaldina; qualche risultato è anche uscito subito, ma poi si è passato tempo a leggere articoli astrusi, a fare pratica con il linguaggio degli oggetti studiati, senza concludere granché. Poi, idee vaghe che lì per lì sembravano chissà cosa, ma facevano solo perdere tempo. Con pazienza, si è imparato a volare sempre bassi, pure conservando la capacità di guardare in alto quando serve. Quest’ultima metafora, probabilmente, riassume la principale lezione di questi mesi di attività, assimilata dopo molto tempo e molti errori. Il problema che ho studiato, effettivamente, si è rivelato – nonostante le prime apparenze – piuttosto difficile, probabilmente al di là della mia portata. Qualcosa di interessante si è ottenuto, ma proprio ora che mi sento un ricercatore ben più maturo e capace, mi rendo conto che ho solo un anno davanti a me prima di concludere, e tuttora nulla di ultimato.

Ciò che ho almeno ho guadagnato, in questi ultimi mesi, è stata una rinnovata motivazione per il mio lavoro. Ora, so dire perché la matematica è la mia attività di elezione. So spiegare perché è importante per l’umanità, e perché è bella. Raggiungere tale consapevolezza ha avuto un costo; la mia speranza è che nei mesi a venire essa possa concretizzarsi in prodotti compiuti e tangibili. Anche questo, ovviamente, richiederà una certa fatica.

«Non sono solo»

È un periodo cruciale. Il mio rinnovato bisogno di relazioni, forte al punto da provocare dolore, si scontra con una situazione che conduce alla solitudine. A cercare relazioni nella solitudine, non ero più abituato. O forse, non sono mai stato abituato, ché da sempre fuggivo dalla solitudine, cercando un qualche rifugio. Videogiochi, conversazioni online, social network. Per qualche tempo ha funzionato, ma adesso tutto ciò mi lascia una vaga eppure certa sensazione di distacco dalla realtà, ossia distacco dai corpi, dalle relazioni, in definitiva distacco dall’uomo e dalla Verità.

È arrivato il momento di essere forti. Ora, dopo l’anno che è passato – con tutto ciò che ha portato nella mia vita! – dovrei avere anche gli strumenti per riuscire. Non dirò «non sono solo», a questo punto: no, la verità è che sono solo, e che devo farcela da solo; eppure, anche nella solitudine esiste la possibilità di costruire relazioni.

L’Arte è un esempio. L’Arte mi permette di stabilire legami umani, veri, concreti. Di certo, imparare a relazionarmi con l’Arte non è stato facile, e tuttora in certe occasioni mi costa fatica. In questo preciso momento, però, ecco un’epifania: la parola chiave, il concetto chiave è sempre quello di uomo, e di vita. Relazionarsi con un’opera d’arte, relazionarsi con una persona, finanche relazionarsi con Dio (o chi per lui): concettualmente, sostanzialmente, non cambia nulla. “Tutte le relazioni sono umane”, si potrebbe dire. Ecco che allora l’idea stessa di “solitudine” perde le sue usuali connotazioni. O forse no, forse è meglio mettere da parte strani tentativi di cambiare il significato della parola, e contraddire invece ciò che ho affermato prima: non sono solo, se stabilisco relazioni. Questa è, in effetti, una tautologia. La vera solitudine è l’assenza di relazioni, cioè la vera solitudine equivale alla morte stessa, e non dipende necessariamente dalla circostanza di essere da soli o in compagnia di qualcuno.

Trasfigurazione e morte

II. Chi sei, tu?

I. Io sono I***.

II. Anche io, sono I***.

I. Entrambe siamo I***. L’I*** di adesso, l’I*** di allora, che tuttora vive in te. Due persone diverse, ma entrambe la vera I***. Eppure, tu ora mi detesti.

II. Sono cambiata. Dovevo cambiare. Ora, mi sento in pace con me stessa.

I. Ne sei sicura?

II. Per le altre persone e per me stessa, ora sono un modello migliore di prima. Sono migliore di prima.

I. Ne sei sicura?

II. Prima, sbagliavo in continuazione. Tutti mi avrebbero disprezzato. Si sarebbero presi gioco di me. Ero scandalosa, ero solo uno scandalo!

I. Questo perché ti sei sempre sentita inadeguata a te stessa e alle altre persone.

II. Il mio corpo e il mio animo era sporco. Continuavo a sporcarmi. E forse… mi piaceva. Ma mi odiavo. Odiavo me stessa. Perché sbagliavo.

I. E così, ti sei costruita tu stessa una prigione per il tuo corpo, per il tuo animo.

II. Non è forse meglio così? Certo che è meglio così. Ora vivo per fare ciò che è giusto.

I. Eppure, ti senti sola.

II. Non è così! Tanti ora mi apprezzano, mi lodano, perché mi comporto correttamente.

I. Eppure, ti senti sola.

II. Non è così, non è affatto così! Ho anche il ragazzo! Lui è come me, lui la pensa come me!

I. Eppure, hai lasciato un mondo intero alle tue spalle. Quel mondo, insieme con gli amici di allora. Vuoi eliminare anche loro insieme a me, non è così?

II. Loro sbagliano. Mi facevano sbagliare, convincendomi che andava tutto bene. Non posso più stare con loro. Devono capire ciò che è giusto. Devono capire che io sto facendo ciò che è giusto.

I. Però, loro ti piacevano. Li hai amati.

II. Non è che io li detesti.

I. Ma se parli male di loro, alle loro spalle.

II. È perché loro mi criticano sempre! Anche adesso, che faccio ciò che è giusto, loro continuano a criticarmi!

I. La verità è che ti criticano perché ancora ti amano.

II. Il loro giudizio non conta più niente! È solo un fastidio. Altri, ora, mi lodano. Mi amano per quella che sono.

I. Ma chi sei tu? Cosa sei tu?

II. Io sono una persona che vive correttamente, e che non sbaglia più come un tempo. Non sbaglierò più.

I. Tu allora sbagliavi, ma eri capace di amare.

II. Pensi che non ne sia più capace? Come puoi pensare una cosa simile? Non è come pensi, non è affatto come pensi tu!

I. Ora fai ciò che è giusto, ma chiusa nella prigione del tuo animo sai solo giudicare le altre persone. Non sai più amare.

II. Non è così, non è affatto così!

I. L’attuale te stessa è il frutto di una tua libera scelta. Eppure, tu ancora ti senti inadeguata. Ti senti sola.

II. Non è vero! Sono tutte falsità!

I. Tale è il tuo animo. Ricolmo di tristezza, il tuo stesso animo.

Motivazione alla ricerca

Il Vero e il Falso esistono; ciò che non è mai chiaro, però, è dove sia collocato il confine che li separa, e addirittura se tale confine esista. Ecco allora spiegato perché la correttezza metodologica, lo studio, la comprensione, la ricerca, siano così importanti: essi infatti sono l’anticorpo alle ideologie, che accecano l’uomo facendogli credere che il confine tra Vero e Falso sia il taglio di una spada. E invece, è semmai quest’ultima la più grande e ingannevole falsità.

Dunque, preferisco conoscere, studiare, ricercare, prima di decidere e prendere una posizione. Anche correndo il rischio di diventare un ignavo. Proprio perché la materia è così importante, voglio avere tutti gli elementi che mi servono per arrivare a risposte che siano almeno corrette, se non possono essere definitive. Voglio essere in grado di distinguere davvero il Falso dal Vero, trovare quella loro effimera linea di demarcazione; e so per certo che essa non sarà (quasi) mai lì, limpidamente davanti ai miei occhi, anche se alcuni vorranno farmelo credere.

A te

Mi dici che ti sei «rotta», che non comprendi quale sia la tua identità.

E invece io ti dico: la tua identità sta in molte identità, forse addirittura in tutte le identità: studentessa sgobbona e un po’ alienata, ragazza acqua & sapone, casa & chiesa, all’antica; femminista, a tratti libertaria, cattolica; fidanzata d’altri tempi, emancipata, passionale; maschiaccio, donna elegante e provocante; ligia alle regole, ribelle, goliarda; acculturata, provinciale, pop; estroversa, cupa, cerebrale. Eccetera: sai meglio di me come completare l’elenco.

Tu sei questo tutto. Le tue contrastanti anime formano la tua anima, senza annullarsi né sommarsi, ma piuttosto vivendo ciascuna una propria vita, che è semplicemente la tua vita. La tua vera identità risiede in questo mirabile insieme di contraddizioni, risolte nel tuo stesso esistere, nel tuo stesso respirare accanto a me.

La tua vera identità non va cercata o compresa, va solo lasciata vivere. Dunque vivi: io avrò cura di te.

Errare è umano

Quindi sbaglia, sbaglia pure.

«Mi vuoi dire che sbagliare è giusto? Che assurdità!»

Non è così. Soltanto, sbagliare è inevitabile. È inutile credere altrimenti, e agire contro la nostra stessa natura.

«Dunque, dovremmo rassegnarci all’inevitabile? Che enormità!»

Nemmeno. Dobbiamo agire e comportarci cercando di fare sempre la scelta giusta, ossia quella che secondo la nostra coscienza, in quel momento, è la scelta giusta. Anche facendo così, tuttavia, inevitabilmente ci capiterà di sbagliare. Per questo sbaglia, sbaglia pure: andrà bene anche così.

«Non mi piace.»

Ti capisco. Eppure guarda: dietro ogni sbaglio, c’è una persona umana, una persona vivente. Solo i morti e le divinità non sbagliano mai. L’esistenza di un’anima prima di ogni errore ti rincuorerà: forse che la vita in sé non è comunque un valore?

«Sì. Ma non mi piace lo stesso. Per quanto inevitabile, per quanto caratterizzante le nostre vite, sbagliare resta sempre e comunque un male.»

Ragionando solo di un astratto bene e di un astratto male, ecco che così davvero rinunci a comprendere la realtà.

«Non ho alternativa. Ho bisogno di valori. E lo stesso vale per te.»

Lo so. E ciò nondimeno, non puoi pretendere che la realtà e la tua stessa vita si conformino completamente a tali astratti valori.

«Vorrei non fosse così.»

A me sta bene così.

Guardare fuori?

Che altro posso fare per ingannare il tempo sul treno? Ancora matematica? Difficile, ora che è salita tutta questa gente (ma bello che sia salita). Guardare fuori?

Il cielo vagamente tempestoso, tipico di alcuni giorni di primavera.

Il treno completamente pieno (alcuni in piedi).

La campagna lombarda, a sud di Milano. Anch’essa sa essere bella, a suo modo. Campi color giallo (grano? No, non mi sembra grano!), cascine, piccole chiese. Bene godersi il paesaggio com’è adesso, ché tra qualche settimana sarà bruciato sotto il sole.

Pieve Emanuele, con i palazzoni (colpisce il Ripamonti residence) e la stazione in costruzione. Il treno qui procede più lento.

Uno squarcio nelle nubi. All’orizzonte, direi verso ovest, un bagliore rosa. Villamaggiore. Ora andiamo veloci.

Freniamo un po’. Verso sud il cielo è sereno, me ne accorgo solo ora. Dovremmo essere quasi a Certosa. E infatti, eccola: riesco a scorgerla dal finestrino. Pochi secondi, è già fuori dal campo visivo. La rivedrò presto.

Rallentiamo sensibilmente. Ma ormai Pavia dovrebbe essere alle porte. Ecco, riprendiamo un po’ di velocità.

Ci siamo: viale Brambilla, un autobus urbano, ora passiamo sotto il rondò dei Longobardi. È il momento di scendere.